Femminicidio: quando l’amore uccide non è amore!
Il femminicidio è un omicidio fondato sull’incapacità di gestire ed elaborare l’abbandono. Chi ama non desidera altro che il bene dell’amato e mai, in nessun caso, riesce a contemplare di uccidere il proprio oggetto d’amore.
Perché si arriva ad uccidere la persona che si dice o si crede di amare? Perché è così difficile lasciare libero chi si ama?
Da quale inferno emotivo nasce quella compulsione a vessare, perseguitare, punire l’ex-partner anche dopo tanto tempo dalla separazione?
Hai paura? So bene cosa significa provare quella paura sottile che ti fa mancare la voce e impercettibilmente tremare le mani. Il femminicidio è una realtà da studiare, capire e comprendere se si vuole contrastare efficacemente. Iniziamo a farlo insieme.

Femminicidio: le origini di tanto odio verso l’oggetto amato
Il femminicidio è un omicidio che affonda le proprie radici in un terreno affettivo ed emotivo arido, scarsamente empatico, dove le persone sono ridotte a cose da usare e possedere. Chi arriva a commettere un femminicidio è tendenzialmente incapace di accettare ed elaborare l’abbandono. Spesso il femminicidio è preceduto da un altro reato conto la persona: lo stalking.
In un mondo emotivo narcisista ed infantile, l’altro viene percepito come uno strumento per soddisfare i propri bisogni
Il bambino appena nato, vede nella madre un mezzo per sopravvivere e solo in seguito si affeziona a lei, riconoscendola come oggetto d’amore.
Dalle dinamiche del rapporto madre/figlio, oltre all’amore, emergono sentimenti distruttivi quali: la gelosia, il possesso e l’invidia.
- La gelosia è un sentimento che si manifesta quando il nostro oggetto d’amore rivolge la propria attenzione a persone e situazioni diverse da noi.
- Il possesso è un istinto primordiale che viene definito inequivocabilmente dall’espressione: ‘Questo è mio!!!’ rivolta indistintamente a cose e persone.
- L’invidia è un sentimento basato sulla convinzione che l’altro non merita ciò che ha. La persona invidiosa manifesta una chiara volontà distruttiva verso ciò che l’altro possiede. L’invidioso non riconosce il merito altrui e si sente sempre defraudato, incompreso, sfortunato.
Tali pulsioni emozionali se non vengono comprese ed elaborate correttamente dall’apparato psichico, danno vita a dinamiche comportamentali distruttive che generano risentimento, frustrazione, rabbia e odio, esattamente ciò che muove i comportamenti dello stalker nel compimento del reato di stalking.
- Il risentimento è uno stato d’animo fortemente distruttivo rivolto contro chi si ritiene si sia comportato in modo ingiusto verso di noi. Tale stato d’animo se esasperato, genera astio e volontà di vendetta. Il risentimento è simile al fuoco che cova sotto la cenere.
- La frustrazione è una tensione psichica volta a generare aggressività verso tutto ciò che ostacola l’appagamento di un bisogno. La frustrazione genera disillusione, tristezza, depressione. Quando ti senti frustrato sei simile ad un animale minacciato dal fuoco, cerchi solo una via d’uscita, una qualsiasi via d’uscita.
- La rabbia nasce dall’impotenza di ottenere ciò che si desidera. Infinite sono le espressioni della rabbia: liti furiose, impulsi violenti ad agire fisicamente e/o psicologicamente contro l’altro. Poi c’è la gentilezza, quel tipo di gentilezza fredda, distaccata quasi a compatire.
- L’odio è il sentimento distruttivo per eccellenza. Quando si odia, si desidera il male dell’altro. Nell’animo di chi odia sola la cancellazione dell’oggetto odiato può portare sollievo.
Mia per sempre! Di nessun altro! Mia e solo mia!
“La macchina del capo ha un buco nella gomma
Grande capo la tua auto andrà in una fossa, noi che siamo a bordo preferiam buttarci in corsa.
La macchina del capo ha sempre acceso gli abbaglianti e ti schianti fra!
Fino qui tutto bene, fino qui tutto bene, fino qui tutto bene, fino qui tutto bene! Tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene!” Marracash – Fino a qui tutto bene
Il femminicidio nasce da una profonda distorsione affettiva, emotiva e comunicativa, improntata alla violenza, agita in un contesto disturbato, dove le fragilità: cognitive, emotive, affettive e sociali, dei soggetti in gioco, prendono il sopravvento.
In tale contesto, affettivamente deprivato e deprivante, per mantenere il controllo sulla persona viene agita ogni genere di violenza psicologica e fisica per garantire il mantenimento dello status quo.
Per indebolire la volontà altrui vengono instillati, giorno dopo giorno, giudizi limitanti, critiche più o meno velate per ledere il senso di sicurezza, sino a generare profondi sensi di inadeguatezza, vergogna e colpa.
Tipiche le espressioni:
- Cazzo ma non ti vedi? Perché ti sei vestita così! Ti guardano tutti!
- Dove vuoi andare? Ti accompagno io. Ho il diritto di proteggerti.
- Non sei più giovane, sei ridicola, ti comporti come una ragazzina!
- Sei diventata una stronza!
- Chi è quel pezzo di merda che ti telefona?
Chi maltratta sminuisce sistematicamente l’altro, umiliandolo e annullandone anche la più banale libera manifestazione di sé
Il comportamento maltrattante nasce da dinamiche irrazionali a tratti patologiche che sfociano in atti criminali violenti e improvvisi che spesso portano all’uccisione del soggetto più debole.
Chi ama non uccide. Chi ama ti solleva a sé
L’amore è bellezza, l’amore è cura, l’amore è volere il bene incondizionato dell’altro anche quando si allontana. Amare significa rispecchiarsi nell’amato rifiutando l’egoismo, il possesso. Amore è amarsi, non lasciarsi ridurre a cosa tra le cose.
Fenomeni come lo stalking, il femminicidio, trovano origine nell’odio e nella mancanza di rispetto agita prima che dagli altri, da noi stessi.
Se ti senti minacciata, vinci la paura, ricomincia a vivere! Esistono uomini meravigliosi, capaci di slanci emotivi appassionati e teneri. Non chiuderti in te stessa, non costruire un muro tra te e la felicità di una relazione. Allontanati da chi ti vuole tenere legata a sé con la forza ma soprattutto evita ogni situazione che possa mettere in pericolo la tua vita.
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Il FEMMINICIDIO è una pura invenzione mediatica
Secondo gli ultimi dati del Viminale (Marzo 2018) nell’Italia del 2017 sono state uccise 355 persone, il numero più basso di sempre. Di queste ben 236 sono state ammazzate in famiglia, in coppia, tra amici, vicini di casa, colleghi di lavoro: le vittime femminili sono 120, le vittime maschili sono 116, 120 se consideriamo anche i 4 italiani uccisi all’estero dalle loro partner
A seconda dell’ente civile o istituzionale che raccoglie i dati, il numero delle donne vittime di “femminicidio” sale o scende arbitrariamente: 90, 114, 88, 140. E in tutti i casi questi numeri sono la somma di omicidi il cui rapporto vittima/carnefice e il movente con il femminicidio non hanno nulla a che fare: tra le Vittime di “femminicidio” per esempio vengono inserite donne uccise dai figli o dalle figlie per ragioni economiche o a causa di psicopatie; oppure da criminali che volevano rapinarle o da vicini/e di casa con i quali avevano cattivi rapporti; o da partner con gravi psicopatie.
Tutti questi delitti hanno origini e dinamiche diverse delle quali è necessario tener conto. Chiamarli femminicidi (o femicidi) quando non lo sono non permette di intervenire nel modo corretto quando non lo sono. Mettere tutto in un unico calderone è forse utile a creare un’allarme sociale che permette di attuare politiche sociali a favore delle donne, in quanto “diverse”, e che con la prevenzione della violenza non c’entrano.
Se facciamo lo stesso gioco di prestigio con le Vittime maschili, quindi le rileviamo utilizzando gli identici criteri arbitrari utilizzati per rilevare i “femicidi” e le mettiamo insieme con lo stesso rapporto vittima/carnefice, gli stessi ambiti e gli stessi moventi, emerge che gli uomini uccisi sono più delle donne: 133 i primi, 128 le seconde.
Ciao Adriano ogni omicidio in quanto uccisione di un essere umano è da considerarsi atto grave e perseguibile penalmente. Non esistono vittime di serie A e vittime di serie B. Femminicidio è un termine nuovo e l’impatto mediatico di tale fenomeno è immenso ed è di questo che parlo in questo mio articolo. Il resto sono polemiche null’altro che polemiche