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Il nome della rosa: un libro che ti rapisce la mente, il cuore, l’anima

Il nome della rosa di Umberto Eco, è un giallo deduttivo, ambientato in un’abazia benedettina dell’Italia settentrionale nel 1327. In questo luogo, si agitano forze oscure cagione di misteriosi delitti.

I personaggi finemente tratteggiati dall’autore, mettono in scena l’eterna lotta tra fede e ragione, in un miscuglio di razionalità, misticismo e superstizione, nel tentativo di risolvere il mistero che si cela intorno all’antica biblioteca dell’abazia.

Curioso e attento a tutto ciò che lo circonda, prende vita il personaggio di Adso un novizio benedettino, voce narrante dei fatti accaduti.

Ormai anziano, seguendo le orme del ricordo, decide di scrivere e ridar vita a quei giorni lontani della sua gioventù attraverso le vie della virtù della paura e del peccato.

Vuoi saperne di più? Seguiamo Adso e il suo racconto.

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Il nome della rosa (1986) regia di Jean-Jacques Annaud

Il nome della rosa: ragione e fede a confronto

Il nome della rosa appartiene al genere letterario dei gialli deduttivi. Grazie alla facoltà intellettiva del ragionamento basato sulla formulazione e verifica delle ipotesi, vengono analizzati i fatti e gli indizi per giungere alla risoluzione dell’enigma.

In quest’opera monumentale, Umberto Eco descrive la relazione che si instaura tra un maestro: frate Guglielmo da Baskerville e il suo allievo Adso da Melk. L’opera è ambientata in uno dei periodi più misteriosi e affascinanti della storia umana: il Medioevo, dove l’odio per l’eresia accende gli animi, accecando gli occhi degli uomini di fede.

In questo clima in bilico tra razionalità e irrazionalità, equilibrio e follia, prendono vita alcuni personaggi intensi che mi hanno colpito profondamente.

Ogni volta che mi innamoro di un libro la storia narrata diventa un po’ la mia storia e come l’esperienza insegna:

Tutti possono leggere lo stesso libro ma ogni libro risuona in modo diverso nell’anima del singolo lettore

Mi piace Adso, la sua fresca curiosità di novizio che per la prima volta esce dal convento e si avventura nel mondo ma il personaggio che più mi intriga è Ubertino da Casale un mistico, realmente esistito, appartenente all’ordine degli spirituali francescani.

Descritto come un uomo esile, disarmante, incrollabile nella fede, nella sua opera Arbor vitae crucifixae esalta la povertà della Chiesa, fatta ad immagine di Cristo e denuncia la corruzione dei costumi del Papa e della Curia Romana.

Le cronache riportano che Ubertino da Casale viene misteriosamente avvelenato, dopo aver trascorso buona parte della sua esistenza in odor d’eresia e perseguitato dal tribunale dell’Inquisizione.

L’eresia si contrappone alla virtù così come l’amore e l’odio si infiammano a vicenda

Parlando con Guglielmo del movimento ereticale creato da Dolcino, il cellario frate Remigio, afferma:

” … è stata … non so come dire, una festa dei folli, un bel carnevale … e a carnevale si fanno le cose alla rovescia.”

Sempre sull’eresia Ubertino, parlando con Adso, asserisce bruscamente:

” … è proprio dell’eresia trasformare i pensieri più retti e volgerli a conseguenze contrarie alla legge di Dio.”

In contrapposizione all’eresia troviamo l’ortodossia che affonda le proprie radici nella virtù.

Con il termine virtù nel Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano: “si intende una qualsiasi capacità o eccellenza a qualsiasi cosa od essere appartenga”.

Nello specifico si può affermare che esistono 3 significati di virtù:

  1. Capacità o potenza in generale
  2. Capacità o potenza propria dell’uomo
  3. Capacità o potenza propria dell’uomo di natura morale

Ragionando di eresia e virtù, fede e ragione, Guglielmo da Baskerville che ben conosce la passione che anima Ubertino, vi si rivolge con queste parole:

“Sei uno spirito ardente, Ubertino, nell’amore di Dio come nell’odio contro il male”

Nella vita è sempre così l’amore e l’odio sono tra loro fedeli compagni di viaggio.

Il nome della rosa: un’indimenticabile storia d’amore

Il nome della rosa ed è con questo nome che l’amore si rivelerà ad Adso e risuonerà per sempre nel suo cuore.

“Non so nulla. Non c’è nulla che io sappia. Certe cose si sentono col cuore.”

Sentendo queste parole Adso prende coraggio e interroga Ubertino:

“E questo è amore buono?”

L’amore buono vuole il bene dell’amato. Pulsa e infiamma lo spirito di quell’amore incondizionato che Dio prova per i suoi figli che sono la sua gioia, la sua realizzazione.

Adso, sentendo gli insegnamenti di Ubertino, nel profondo del suo cuore sente la gioia e la paura per quell’amore e quella colpa che si rinnova costantemente nel pensiero ossessivo della donna incontrata fuggevolmente nella notte e riflette con cuore agitato, guardando il paesaggio nella fredda mattina d’inverno:

“Purché potessi godere del gaudio che mi pervadeva quel mattino, e averla sempre vicina anche se fosse stata e per l’eternità, lontana.”

Quale amore è più potente dell’amore che immutato si perpetua nell’aver amato?

Tutto può la paura tranne sconfiggere l’amore

Ubertino, sentendosi in pericolo, confida a Guglielmo le sue paure:

” … e non ridere troppo dei tuoi simili. Anzi, quelli che non puoi amare, temili.”

La trama volge al termine, il mistero sta per rivelarsi. Il vecchio monaco Jorge, un tempo bibliotecario dell’abazia, tuonando con voce potente contro Guglielmo e Adso grida:

“Il riso toglie potere alla paura! Per questo è un male!”

La paura, così come la speranza, insegue i segni che si palesano nei sogni, prendendo vita nelle menti degli artisti, per trasformarsi in opere d’arte. Sono simboli da ricercare minuziosamente tra le pieghe della ragione e della fede che, creando legami, danno senso e significato ai fatti.

In questo intreccio paradossale, scienza e fede, eresia e virtù, amore e odio, si prendono per mano, lasciandoci sbigottiti e incapaci di comprendere fino in fondo il mistero dell’esistere.

“L’intelligenza che vuole sapere.”

“La volontà che vuole fare.”

“La fede che sa attendere paziente senza troppo interrogare.”

In verità questa non è la conclusione è un nuovo inizio

Adso ormai vecchio e saggio ha compreso l’unico insegnamento inspiegabilmente e sempre valido:

“La vecchiaia è abbandonarsi alla volontà di Dio.”

Io come te resto fermo, incredulo, un po’ tremante dagli avvenimenti che seguono e portano a conclusione la vicenda.

Sono Pig e sono un maialino mi piace mangiare, rufolare in giro e dormire. Ah dimenticavo: mi piace inseguire i miei pensieri che spesso si confondono con i miei sogni.

Mi scuso se a tratti ti sono sembrato confuso ma non posso dire molto sulla trama per non svelare il mistero che rimane tale sino alla conclusione.

Una cosa però te la devo dire: mi sento spesso come Adso, sono una giovane anima curiosa e non sempre riesco a distinguere il peccato dalla virtù, il vero dal falso ma sono certo che alla fine di tutto, ciò che conterà veramente, sarà l’aver fatto del proprio meglio.

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